LE FRAZIONI -
Scorzarolo
'È evidente, e lo si coglie perfettamente nel vecchio borgo
abbandonato, che qui siamo ormai alla fine di una lunga e silenziosa
esistenza.
Dunque è urgente affrontare fin da subito lo studio di questo ultimo
brandello di medioevo, incastonato in una terra che, così come siamo
abituati a conoscerla, è nata non molto prima del ‘400 da una
intensiva riorganizzazione delle nostre campagne.'
T. Casanova, da Ombre senza voce, 1998
Salviamo Scorzarolo
Pagina dedicata al degrado
inesorabile che affligge la piccola frazione.
La pietra ritrovata
Ogni
tanto qualcheduna ritorna...
La chiesetta della Madonnina delle Cave
Tutto sulla chiesetta di
Scorzarolo
Il Borgo di
Scorzarolo
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Memoria storica Verolese
Pagina dedicata al Museo della Civiltà Contadina
in loc. 'Bersaglio'
Scorzarolo
è a nord di Verolavecchia, al di là del fiume Strone e di fronte al Dosso, e
probabilmente costituiva con esso una protezione al passaggio sul fiume; è un
borgo rurale ricco di storia, da quel che resta del lazzaretto oggi corte
agricola semi abbandonata, alla residenza di campagna dei frati Domenicani, che
conserva pregevoli opere architettoniche.
L'antica curtis
monastica si trasforma nel tardo medioevo in un piccolo borgo fortificato
circondato da terrapieni e fossati ancora parzialmente conservati. Nel XIV
secolo i Testi vi fecero costruire un castello a sud-ovest del quale i
domenicani realizzarono nel Cinquecento un monastero con corte rustica che servì
loro fino al 1797.
In una mappa del 1655
conservata all'Archivio di Stato di Brescia è documentata la presenza di un
possente torrione a difesa del borgo. Nel 1483 il castello
di Scorzarolo fu conquistato insieme a quello di Verolavecchia dal Sanseverino.
Un po’ di storia
Pochissime sono le notizie
storiche su questo piccolo ma significativo lembo di pianura bresciana;
tuttavia è documentata l’esistenza di due epigrafi funebri romane, in
origine murate nella perduta chiesa di San Pietro.
Anche la regolare partizione
dei coltivi rimanda alla organizzazione del territorio avvenuta in epoca
romana.
Il toponimo pare invece
risalire piuttosto all’epoca longobarda, così come la dedicazione della
perduta chiesa di San Pietro.
Il
convento dei Domenicani
Passato il ponte sul fiume Strone, si entra nel territorio di
Scorzarolo, antico possedimento dei padri Domenicani e ora proprietà
degli Spedali Civili di Brescia.
Il convento vero e proprio si articola in due corti, di cui la
prima, più grande, è la cosiddetta corte rustica, a servizio del
latifondo con stalle, fienili e altri edifici per la coltivazione
della terra.
La seconda corte, più piccola, è la corte conventuale, un vero e
proprio chiostro, pregevole per le proporzioni architettoniche e le
linee essenziali ed eleganti.
All’interno, in un’ampia sala con volta policentrica, si conserva un
bel camino con vari
simboli, tra i quali un cane con una fiaccola in
bocca, che rimandano alla ricerca
teologica dei Domenicani e alla
severità nel perseguire le eresie (Domini canes: i cani da
guardia del Signore).
I
Domenicani si insediarono a Scorzarolo nel 1487 per lascito dei
nobili Testa (Cò) e vi rimasero fino alla confisca dei beni operata
nel 1798 dal Governo Provvisorio Bresciano in seguito agli
avvenimenti della invasione napoleonica.
La
chiesa di San Vincenzo Ferreri
Dalla corte rustica si accede direttamente alla bella chiesetta di
San Vincenzo Ferreri (sorta sul luogo dell’antica San Giacomo) con
un elegante campaniletto.
Contiene un pregevole altare settecentesco, il cui paliotto non
originale, impreziosito da intarsi marmorei, raffigura San Francesco
che riceve le stimmate.
La pala
celebra, con la Madonna del Rosario e l’antico titolare San Giacomo,
le glorie dell’ordine Domenicano: San Vincenzo Ferreri, San Domenico
e San Pietro Martire da Verona.
Il
Borgo
Molto interessante è il borgo di Scorzarolo, antico possedimento dei
Domenicani di Brescia che qui rimasero fino al 1798; nel 1812 il
latifondo passò in proprietà agli Spedali Civili di Brescia. A
servizio del borgo rurale vi erano due mulini, una 'pestadóra da
ris', un torchio e una segheria, tutti mossi dalla forza
dell’acqua, ma purtroppo perduti.
Della pestadora tuttavia rimangono oggi le sole basi in
pietra, con sei contenitori, entro i quali si versava il riso che
veniva brillato con pestelli in legno; fanno bella mostra sulla
spalletta del ponte.
Il latifondo era in origine costituito da circa mille piò di terra “in parte buoni et in parte non molto...” (Da Lezze, 1610).
Ancora
negli anni sessanta del ‘900 vivevano qui cinquanta famiglie.
Il
Lazzaretto
Una delle corti rurali è ancora denominata “Lazzaretto”, dalla
destinazione tipica di quel luogo in tempi meno felici (forse a
seguito di un’epidemia di colera dell’800).
Ormai in grave stato di abbandono, conserva interessanti esempi
dell’architettura rurale, come le abitazioni dei braccianti e le
loro pertinenze, così come si usava nelle cascine fino agli anni ‘50
del secolo scorso.
Meriterebbero senz’altro un appropriato recupero, per scongiurarne
l’imminente crollo definitivo.
Non appena crollata, siamo certi,
qualcuno si straccerà le vesti.
La ghiacciaia
Dietro
al Lazzaretto, in lato di mattina, un poco discosta dalle
abitazioni, si nota l’inconfondibile sagoma della ghiacciaia. È una
singolare costruzione in mattoni a pianta circolare con copertura a
ogiva e profonda circa quattro metri sotto il suolo.
D’inverno era riempita con neve o ghiaccio e serviva per conservare
le derrate alimentari nel periodo estivo, ma non è da escludere che
avesse anche una funzione di servizio pubblico sanitario.
Il
Bersaglio
Proseguendo sulla stradina in direzione est, dopo la discesa, c’è un
vecchio edificio in stato di abbandono.
La pittoresca località del Bersaglio è un vecchio poligono di tiro,
che sorge su una testa di fontanile, un tempo ricchissimo d’acqua.
Meriterebbe un intelligente recupero.
Il
ruscello della risorgiva segna anche il confine col Comune di
Verolanuova.
La
chiesetta della Madonna delle Cave e il decumàno
romano
Proseguendo sulla strada sterrata, prima della discesa, un poco
discosta sulla sinistra, è la chiesetta della Madonna delle Cave.
Originariamente dedicata a San Firmo, assunse l’attuale dedicazione
in seguito ad alcuni eventi miracolosi: ne sono prova alcune
testimonianze raccolte dal notaio di Verolavecchia Gabriele Mazzetti
nel 1630. Alcuni ex voto fanno ancora bella mostra nella chiesetta.
Antichissimi e curiosi riti vi si svolgevano, come “veglie e
pernottamenti”, che parrebbero richiamare una remotissima pratica
divinatoria, che consisteva appunto nel dormire dentro o presso un
santuario allo scopo di ottenere sogni e responsi utili per ogni
evenienza. Ciò naturalmente non era tollerato dalle autorità
ecclesiastiche, tanto che il delegato di san Carlo, in visita
apostolica nel 1580, ne ordinò la cessazione.
La
festa della Madonna delle Cave si tiene ogni anno, da tempo
immemorabile, nel giorno di Pasqua. Nel 1779 l’arciprete Semenzi
confessava di non essere riuscito “di rimediare al disordine, che per questo Oratorio succede il
Giorno di Pasqua di Resurrezione dove si fa un concorso di gente
straordinario con distrazione da divini offizi delle parrocchie
vicine e strappazzo del grand Giorno di Pasqua.” Ancora oggi
taluni indicano quel giorno come “el dé de le Càe” (il giorno
delle Cave) a testimonianza di una grande e sentita devozione per il
piccolo santuario.
Il nome deriverebbe, secondo alcuni, non tanto dalla vicinanza di
qualche cava di sabbia, ma dalla possibilità che, per intercessione
della Madonna, posano in questo luogo venir “cavati i mali” che
affliggono i fedeli.
L’altare presenta un bel paliotto in marmi policromi; la pala
raffigura invece la Madonna col Bambino e alcuni santi domenicani.
Da
notare il rettilineo asse stradale che passa davanti alla cappella:
forse è il decumano dell’antica centuriazione romana. Del resto, la
presenza romana è testimoniata da due epigrafi originariamente
murate presso la porta della distrutta chiesetta di San Pietro,
nonché da ritrovamenti di tombe romane presso il vicino fienile
Parma.
Fino
agli anni ’60 del secolo scorso la strada era superbamente
fiancheggiata da due filari doppi di platani secolari, che rendevano il
percorso estremamente suggestivo.
La
chiesa di San Pietro (perduta)
La chiesetta di San Pietro si trovava sulla strada comunale che
collega Verolanuova a Cadignano, poco oltre la cascina Confortino,
dove ora sono rimasti solo quattro alberi.
Nel 1565 l’oratorio campestre era oggetto di una certa devozione: ne
è prova l’esistenza di ben quattro altari e di un piccolo cimitero a
lato; era pure documentata l’esistenza di un casetta abitata da due
eremiti.
Nel 1779 l’arciprete Semenzi lo descrive in condizioni pietose, così
come il suo cimitero.
Verso la
metà degli anni ‘70 del secolo scorso la chiesetta venne purtroppo
demolita, essendo già da tempo in grave stato di abbandono.
La
moja del lino
Poco discosto dall’abitato, in direzione di sera, è un bel manufatto
in mattoni a vista, fra i meglio realizzati e conservati della
pianura. Si tratta della moja del lino: una vasca
rettangolare, una delle più grandi dei dintorni, ove si mettevano i
fasci di lino a macerare in acqua prima della battitura, testimone
silenziosa di gesti e coltivazioni oggi scomparse, come quella dei
bachi da seta, che un tempo caratterizzava i campi con gli
inconfondibili filari di gelsi.
Era
alimentata da un fosso d’acqua, regolato da paratoie all’entrata e
all’uscita, lo stesso fosso che alimentava i mulini, la pestadora,
la segheria e il torchio.
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