LE CHIESE MINORI
Piccola
guida ai monumenti verolesi
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La
chiesa di San Pietro (S. Péder)
Vicino alla strada che
conduceva alla pieve di Quinzano, fuori dal centro abitato e circondata da un
piccolo cimitero cristiano, sorse la prima
chiesa di Verolavecchia, intitolata
all'apostolo Pietro forse per volere di qualche nobile longobardo passato
dall'arianesimo alla Chiesa di Roma intorno al VII-VIII secolo.
L'edificio non doveva
avere grande sviluppo neanche nel Medioevo e doveva corrispondere press'a poco a
tutta l'altura che attualmente circonda la chiesetta di "San Peder".
La facciata si trovava a
ponente, dove ora c'é il presbiterio, ed il coro a levante, dove ora si trova
l'ingresso.
Tutto attorno, nel
terreno rilevato che circonda l'attuale cappellina si rin-vengono tuttora
frammenti di tegoloni provenienti da tombe alla cappuccina, comprovanti
l'antichità del luogo di culto.
II grosso del cimitero
doveva però estendersi nel campo più basso, davanti all'attuale presbiterio;
tale terreno risulta ancor oggi ben squadrato da un corso d'acqua.
Uno scavo sistematico
rivelerebbe certo molte cose sull'origine e sulla stona di questa chiesa.
L'edificio cadde in disuso sulla fine del
Quattrocento, quando si costruì la nuova parrocchiale vicino al Castello, e
quanto ora si vede é il frutto del
"restauro" imposto dal vescovo Dolfin nel 1703; in quell'anno, poiché la chiesa
versava in grave abbandono, il visitatore ordinava di restaurarla o di
demolirla.
Si optò per la
demolizione totale dell'edificio e per la costruzione di una santella aperta,
coperta da una mezza volta a padiglione, orientata al contrario della chiesa
preesistente e rivolta verso il paese e verso la nuova parrocchiale.
Sull'unico altare,
realízzato in semplice muratura, si pose un affresco di buon pennello, vivace ed
elegante raffigurante la Madonna con il
Bambino venerata dai Santi Pietro e Giovanni Battista.
Nell'Ottocento, poi,
forse per ovviare agli sconci che potevano accadere a causa dell'apertura di
facciata troppo ampia e protetta solo da una cancellata, si chiuse il grande
arcone con un muro e con l'attuale piccola porta.
Le vaste crepe nella
muratura e nell'intonaco rilevano però ancor oggi l'andamento dell'arcata
originaria.
Don Tenchini, nella
relazione di preparazione alla Visita pastorale del 7 aprile 1861, dice che
l'attuale chiesetta venne costruita nel 1703 con materiale del vecchio edificio
sulle macerie dell'antico cimitero.
La
chiesa di San Rocco
La pestilenza del 1512-1513 deve aver portato grande detrimento al territorio
bresciano, anche se spesso viene dimenticata - poiché non é stata ancora
sufficientemente studiata - di fronte a quella ben più terribile del 1630.
Uno dei segni della gravità di quella epidemia é proprio fornito dalla
costruzione della chiesa di S. Rocco di Verolavecchia, iniziata in seguito ad un
voto di tutta la popolazione e ufficialmente stabilita con un atto del 15 marzo
1514.
Già però fin dal 1512 era iniziata la fabbrica o doveva sorgere una sorta di
santellina nel luogo dove ora c'é la chiesa, forse al centro del piccolo
lazzaretto di fortuna collocato tra il recetto (il cosiddetto Castello) ed il
vero e proprio castello che si sviluppa intorno alla nuova parrocchiale.
Cosi, nel suo testamento del 23 novembre 1512, maestro Defendino q. ser Maffeo
Bordonali di Verolavecchia, ammalato di peste e perciò
"...jn strata
juxta portam curtivj dicti testatoris sitam jn terra Veroleveteris jn contrata
Porcelage...", ben distante dal notaio e dai
testimoni, lasciava "...ecclesie divi Rochi site jn terra Veroleveteris
ducatos decem dandos perjnfrascriptos suos heredes jn termino annorum quatuor
ponendos jn fabricha aut jn paramentis jn dicta ecclesia juxta jn arbitrio et
prout voluerint jnfrascripti sui filij...".
Tra il 1512 ed il 1514 i lasciti fioccarono numerosi come le morti dei devoti
verolesi e così, in poco tempo, la chiesa venne completamente finita ed ancora
oggi manifesta l'impronta di quegli anni.
La semplice pianta rettangolare si articola in tre campate di navata, divise un
tempo da archi trasversi e coperte da un semplice tetto a capanna con travetti m
legno e tavelle in cotto (nel Seicento plafonato) e in un presbiterio
pentagonale.
Sull'esterno una zoccolatura di 80-90 cm. segnava tutto il perimetro, ma
l'innalzamento del suolo circostante e del pavimento della chiesa l'hanno ora
ridotta a poco più della metà.
Lungo l'imposta del tetto, all'esterno, correva una fascia in mattoni disposti
ad archetti pensili; ancora nel Seicento la chiesa venne però sopraelevata di
circa un metro ed ora tale corniciatura non segue più la gronda.
La visita di S. Carlo Borromeo del 1580 annota che la chiesa era affidata alla
Scuola del Corpus Domini, fondata quasi insieme al nostro santuario nel 1512, e
registra la presenza di un solo altare e la mancanza della sacrestia.
Il vescovo Giorgi nel 1599 ordinava che si completasse la costruzione del coro e
sulla metà del Seicento, per iniziativa di don Ludovico Firmo, veniva aggiunta
la cappella sul lato settentrionale, con un altare intitolato a S. Antonio di
Padova.
Nel Catastico del Da Lezze del 1610 si dice che la chiesa é sotto il
giuspatronato della Scuola del Corpus Domini e che ha un beneficio di tre piò e
mezzo di terra goduto da un cappellano nominato dalla Scuola stessa.
Restauri radicali vennero compiuti nel 1865 e nell'occasione si accorciò il
coretto ligneo dal quale un tempo i membri della Confratemita di S. Rocco
seguivano le funzioni.
Questa Scuola che subentrerà poi nella gestione della chiesa a quella del
Sacramento, esisteva già nel 1602, anno nel quale veniva aggregata a quella di
Roma dal sacerdote bresciano don Pietro Baldassarri e nel 1619 otteneva
particolari indulgenze e privilegi dal cardinale Scipione Borghese.
Altre indulgenze venivano conseguite nel 1743.
L'esterno dell'edificio, completamente in mattoni a vista, manifesta ancora
nell'impianto, nella zoccolatura e nella decorazione dell'antica fascia di
gronda, l'origine del primo Cinquecento, anche se il rosone di facciata venne
sostituito nel Sei-Settecento da una grande finestra rettangolare e se - come si
é detto precedentemente - la chiesa é stata pure alzata di un metro.
Più difficile é scorgere all'interno le linee originarie, occultate dal piatto
plafone che incombe sulla navata.
Gli ultimi diligenti restauri risalgono invece al 1980.
GIOVANNI BATTISTA CALABRIA
(Pralboino (?) - Brescia (?) ).
La Madonna con il Bambino tra i
SS. Rocco e Sebastiano, Antonio Abate, Pietro e Nicola da Tolentino.
Olio su tela, cm. 173x153, firmato in basso Jo: baptista Calabresino/ex
pra-talboino pingebat/MDLXXXXIIII.
La pala dell'altar maggiore, nonostante la data assai tarda, é un dipinto ancora
calato nella tradizione del grande Cinquecento bresciano, con un'impostazione
simmetrica di stampo foppesco e morettesco e con precisi rimandi al Romanino e a
Pietro Marone nelle cromie brillanti e calde, nel modo corsivo di dipingere e
nelle stesse fisionomie dei personaggi. Il pittore, provinciale ed ingenuo, é
ancora tutto da studiare ed é documentato da quest'opera e da alcuni riferimenti
archivistici; deve aver operato anche lungo la prima metà del Seicento, forse
conferendo un deciso cambiamento al suo stile, adeguandolo alle suggestioni
palmesche imperanti a Brescia nei primi decenni del XVII secolo.
FRANCESCO MAFFEI (Vicenza
1605 circa - Padova 1660).
La Madonna con il Bambino,
l'Angelo custode e i Santi Antonio di Padova, Luigi IX e Bernardino.
Olio su tela cm. 234x167,5.
Si deve al prof. Pagiaro la scoperta di questo importante dipinto che
arricchisce il catalogo bresciano del Maffei e che fa supporre una presenza
diretta del pittore nella nostra terra intorno al 1642.
La datazione di questa tela si può appunto collocare nello stesso torno di tempo
della pala con l'Angelo custode e della tela con l'Ultima Cena, ambedue
conservate nella vicina parrocchiale di Verolanuova.
Il nostro dipinto é però più fitto di personaggi e più convulso e barocco nella
composizione e nello spiegarsi dei colori.
Opere come questa devono aver lasciato un profondo segno sul giovane Celesti e
successivamente sul nostro Tortelli all'inizio del Settecento.
Sulla parete meridionale si trova un affresco del 1515 circa raffigurante
La Pietá adorata dai Santi
Francesco e Apollonio
(?).
La chiesa dei SS. Vito e Modesto
Ora sorge proprio accanto al Cimitero, qui
trasferito nel 1810 e benedetto l'11 gennaio di quell'anno dal parroco don
Reccagni (APV, Libro dei morti
1777-1816), ma un
tempo la chiesetta si trovava in aperta campagna.
La struttura, con il
tetto a capanna sorretto da un arcone trasverso che divide l'aula in due
campate, appartiene ai primi anni del
Cinquecento e la data MDXXI
scolpita sull'architrave della porta meridionale dovrebbe indicare la
conclusione delle opere murarie.
La data MDXXIII compare
invece nell'affresco che un tempo decorava l'altar maggiore e che, scoperto nel
1963 dietro la pala dipinta che ancora c'é nel presbiterio, venne staccato,
restaurato e collocato di fronte alla porta meridionale.
Raffigura La Madonna tra i Santi Vito e Modesto
ed é cosa debole, di impronta vagamente ferramoliana.
Gli é accanto un altro affresco della stessa epoca con le immagini della Madonna con il Bambino,
delineate con fresca ingenuità popolaresca.
Due sciupatissime figure di Santi Vescovi
sono invece collocate sulla parete di fronte.
Tipicamente cinquecentesco é anche il bel
campanile che nelle sue linee sode e
nell'uso delle decorazioni in cotto ricorda moltissimo la torre del Castello di
Verolavecchia.
Negli atti della Visita
Bollani del 1563 la chiesa risulta mal tenuta e senza dote, per cui il
visitatore esorta i fedeli a ridurla ad una santellina e ad usare il materiale
proveniente dalla demolizione nel completamento della chiesa parrocchiale.
La Visita di S. Carlo
Borromeo del 1580 annota ancora malinconicamente che la chiesetta è
"un oratorio vetusto ed incongruo. Ha un solo altare e
vi si celebra il giorno della festa".
Un mattone con
iscrizione, collocato nel muro esterno sotto il portico dell'abitazione del
custode, dimostra però che subito dopo la visita apostolica la chiesa venne
restaurata:
DEL 1580 ADI
10 MAGIO FU
RESTAURATO S.TO VITO".
La Visita Giorgi del
1599 vieta al custode di raccogliere le elemosine senza il permesso del Rettore
della parr-occhia, segno evidente che le offerte dovevano essere consistenti e
che perciò la venerazione per il santuario aveva avuto un'impennata in occasione
della peste di S. Carlo, testimoniata, come s'é detto, anche dal restauro del
1580.
Nel 1610 il Catastico
Da Lezze registra ancora che la chiesa non ha entrate, ma dopo l'epidemia del
1630 il santuario ottiene molti lasciti e l'amministrazione é affidata ad un
collegio di Reggenti.
Viene istituita anche
una vera e propria Cappellania ed un sacerdote é incaricato di celebrare con
frequenza la Messa.
É questo il periodo di
maggior fulgore della chiesa: la visita Morosini del 1647 registra addirittura
la presenza di due altari: il maggiore e quello della Madonna.
Risaliva probabilmente
alla prima metà del Seicento anche la venerata statua lignea della Madonna che
nel 1817 venne portata processionalmente in parrocchia per implorare la pioggia.
In quell'occasione si
fecero anche alcuni restauri alla chiesa.
Nel 1938 la statua fu
sostituita con una nuova immagine in legno, forse una copia fedele, eseguita
dalla ditta Poisa di Brescia ed intitolata alla
Divina Matermtá di Maria.
Nel 1963, in omaggio a
papa Paolo VI che da giovane faceva spesso sosta nel santuario quando
trascorreva dei periodi di vacanza nel paese materno, la chiesa venne di nuovo
restaurata.
Durante questi ultimi
lavori si eliminò l'altare laterale con la relativa cappella che si addentrava
nel cimitero e il vecchio altare maggiore in mattoni venne sostituito con un
paliotto settecentesco in marmo, proveniente da Cremezzano [fraz. di S. Paolo
- ndr].
Si scopri anche il
ricordato affresco datato MDXXIII.
Una tela, molto
interessante, si trova sull'altar maggiore:
Ambito di Pietro Marone (?).
La
Pietá adorata dai Santi Vito, Modesto,
Crescenza, Antonio Abate
olio su tela cm.
185x147
La
chiesetta della Madonnina delle Cave
Si trova nella campagna di
Scorzarolo, in direzione nord-est rispetto all'abitato ed al limitare del
territorio comunale con la vicina Verolanuova.
Originariamente dedicata a S.
Firmo, assunse l’attuale dedicazione in seguito ad alcuni eventi ritenuti
miracolosi, ne sono prova alcune testimonianze raccolte dal notaio di
Verolavecchia Gabriele Mazzetti nel 1630.
Antichissimi e curiosi riti vi
si svolgevano, come
“veglie e pernottamenti”
che parrebbero richiamare una remotissima pratica divinatoria che consiste
appunto nel dormire dentro o presso un santuario allo scopo di ottenere
sogni e responsi utili per ogni evenienza.
Ciò naturalmente non era
tollerato, tanto che il delegato di S. Carlo, in visita apostoilica, ne
ordina la cessazione nel 1580.
La festa della Madonna delle
Cave si tiene ogni anno, da tempo immemorabile, nel giorno di Pasqua; ancora
nel 1779 l’arciprete Semenzi confessava di non essere riuscito
“di rimediare al
disordine, che per questo Oratorio succede il Giorno di Pasqua di
Resurrezione dove si fa un concorso di gente straordinario con
distrazione a divini offizi delle parrocchie vicine e strappazzo del
grand Giorno di Pasqua.”
Ancora oggi taluni indicano
quel giorno come “’l dé dè le Càe” (il giorno delle Cave) a testimonianza di
una grande e sentita devozione per il piccolo santuario.
Il nome deriva verosimilmente,
non dalla vicinanza di qualche cava di sabbia, ma dalla possibilità che, per
intercessione della Madonna, posano in questo luogo venir “cavati i mali”
che affliggono i fedeli.
Da notare il rettilineo asse
stradale, forse il decumano dell’antica centuriazione romana. Del resto la
presenza romana è testimoniata da due epigrafi originariamente murate presso
la porta della vicina chiesetta di S. Pietro (perduta), nonché di
ritrovamenti di tombe romane presso il fienile Parma.
S. Pasqua
2009 alla chiesetta delle Cave
La tradizionale festa
S. Pietro e le chiese campestri di Scorzarolo
Saggio di T. Casanova dal volume: 'Ombre senza voce - Ass. Terra & Civiltà,
1998' -
(Collegamento con il sito:
www.terraecivilta.it )
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