COME ERAVAMO
Sezione dedicata alle Immagini, Curiosità, Tradizioni, Proverbi, Usi e
Costumi
da conservare, riscoprire e valorizzare.
Inviate
il vostro materiale a:
[email protected]
Albino Belloni
COSA RIMANE DELLE TRADIZIONI POPOLARI DEL TEMPO PASQUALE
Una
testimonianza vissuta in prima persona.
-
L'immagine culturale di un paese è sostenuta dalla continua proiezione nel
futuro dei valori del passato, attraverso una loro sapiente riscoperta nel
presente. Occorre che la cultura popolare e le tradizioni entrino con
maggior significato nella vita, specialmente della famiglia e della scuola.
LA SETEMÀNÅ SÀNTÅ
-
Ogni anno mi «tocca» il compito di andare a ricercare significati, più o
meno noti, delle nostre tradizioni pasquali. Ogni volta mi incontro con lo
stesso passato e, puntualmente, ne «rientro» con un insegnamento nuovo ed
attuale.
-
Secondo il susseguirsi dei tempi, le nostre tradizioni, molte di origine
pagana, si sono concretizzate in una moltitudine dì usanze quasi tutte
dimenticate tranne quelle riproposte nelle cerimonie religiose. Si
incominciava la domenica delle Palme con la benedizione dell'ulivo (palma
locale) simbolo di pace nelle case e... di buona salute nelle uova
benedette.
-
Il martedì santo si proseguiva con «i maitì»[1]
(o Mattutino liturgico) la cui funzione si teneva la sera in chiesa: la
cerimonia riguardava i vari simboli pasquali; si concludeva con lo
spegnimento del fuoco e... proseguiva con un fracasso infernale (trattandosi
pure di purificare i presentì dal male del demonio) prodotto da «tóle»[2]
e da assi e da altre diavolerie battute senza pietà dai «matèi»[3],
rimasti buoni fino al termine della lunga funzione aspettando il
divertimento a ... percussione.
-
Il mattino dello stesso giorno «le fónne»[4]
(manco pensavano alla mimosa perché già veramente troppo impegnate a tenere
in piedi la famiglia al pari «dèi òm»), iniziavano le pulizie pasquali dopo
aver spedito nei campi «i sò matèi» a «sgürà le cadéne»[5].
La pulizia straordinaria delle povere case assumeva un chiaro parallelismo
di significato con la preparazione dello spirito alla Pasqua (nelle messe si
recitava così la Comunione. «O Signore, non son degno che Tu venga nella
povera casa dell'anima mia, ma di' solo una parola e l'anima mia sarà
salvata!»). I «gnàri», in verità, poco si soffermavano su questi contenuti,
intenti com'erano a cercare, dopo aver ben pulito «le cadéne dal calì», i «nì[6]
de mèrlo o de sfrànguel[7]».
-
Venerdì santo: le campane tacevano a causa delle corde legate insieme da un
nodo speciale, forse fatto da qualche incaricato «robäsòche»[8]
o, più probabilmente dal sacrista, unico titolare della patente di «guida»
della «trebàcolä» con la quale venivano avvertiti i fedeli, dal campanile,
sull'orario delle funzioni. Era anche tempo di magro e di digiuno, pratica
del resto già in atto per troppe famiglie.
-
Il sabato le funzioni della benedizione dell'acqua e del fuoco consacrato.
Le ore precedenti lo slegarsi delle campane sapevano dì un clima magico
percepibile più del solito nel frenetico volo delle rondini e nel nuovo,
prepotente risveglio della natura. Poi... dai paesi confinanti, la fuga dei
suoni di gioia dai campanili come un coro dove «al nòst campanù» la faceva
da contralto. Nello stesso momento l'acqua pulita delle rogge e delle
fontane aveva il compito di allontanare i mali corporali temuti dalle
famiglie, nelle quali la Resurrezione del giorno dopo avrebbe rinnovato
anche il miracolo dell'amore reciproco.
-
Allora le case erano spesso poveri rifugi dove riposarsi dopo un estenuante
lavoro giornaliero; la fame era una frequente commendale per la scarsità di
occupazione; molti dovevano subire una forzata subalternità a pochi
fortunati; ogni tanto si presentava il triste corteo degli «ubitì»[9]
con le campane che suonavano d'allegrezza per l'anima di un bambino forse
meglio sistemato in «paradìs»…)
-
Però... la vita era meno esasperata, la gente si sentiva più comunità, i
«gnàri dèle cadéne» avevano con la natura un vitale rapporto, oggi
difficilmente possibile. La nostra esistenza è più sicura e brillante, ma ha
un carattere meno autenticamente umano: chi allena ancora i gnàri al
sacrificio di domani con la piccola mortificazione dei «fioretti»? Molti
adulti non toccavano tabacco o vino per quaranta giorni: spesso erano
nervosi e tiravano calci agli alberi e ad oggetti vari sotto lo «stress»
dell'astinenza (dopo aver tirato spesso anche la cinghia!). Ma ci
riuscivano!
-
Cosa rimane... Per me qualcosa ancora rimane, ma nascosto come la brace
conservata nei vecchi focolari sotto la cenere: la riservavano per il letto
caldo o per mantenere tiepida la cena di quelli che, per ultimi, appendevano
la giacca al chiodo dopo un giorno di fatica. Se tutti insieme soffiassimo
su questa cenere di oggi, ci troveremmo a riscoprire negli altri persone
nuove e più amiche, in modo da accendere con loro un nuovo, grande, falò!
-
[1]
Rito che termina con una
manifestazione chiassosa.
-
[5]
Pulire strofinando con sabbia.
-
[8]
Erano persone che, nelle
processioni solenni, scortavano le statue e mantenevano l'ordine.
-
[9]
Funerale di un piccolo bambino.
Riduzione ed adattamento da:
Albino Belloni
-
A proposito .. de_le cadéne dèi föch
COMUNITÀ', periodico parrocchiale - Pasqua 1985, pp. l3 -15.
|
|