COME ERAVAMO
Sezione dedicata alle Immagini, Curiosità, Tradizioni, Proverbi, Usi e
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Lorenzo Tartini
LA FESTA DI SANTA CROCE A VEROLAVECCHIA
Le Origini
Vecchie Usanze
E Oggi
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Le Origini
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Fra le
manifestazioni religiose più sentite che ancora oggi godono devozione e forte
considerazione da parte della comunità del paese di Verolavecchia sicuramente la
festa-sagra della Santa Croce, con la solenne processione, è quella che
attualmente riscuote il maggior successo e la più grande e sentita
partecipazione di popolo. Si svolge annualmente verso la fine della primavera e
precisamente il suo giorno tradizionale è il 3 maggio.
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Le origini di
questa festività si perdono a ritroso nel tempo; testimonianze certe del culto
della Santa Croce risalgono alla fine del Medioevo.
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L'antica chiesa
della Disciplina di Santa Maria Maddalena, che ancor oggi esiste, anche se
trasformata in abitazione nei pressi del castello, del quale rimane il torrione
come unica vestigia, era detta anche della Santa Croce in Castello. A
Verolavecchia la Disciplina fu fondata nell'anno 1492, possedeva già la preziosa
reliquia del Santo Legno ed era fortemente legata al culto della Croce e della
Passione del Signore; bisogna ricordare, inoltre, come la Disciplina di S. Maria
Maddalena fosse legata all'ordine degli Umiliati, monaci cavalieri, che avevano
ereditato il culto della croce e conservavano le tradizioni e lo spirito delle
Crociate.
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Le testimonianze che riguardano la croce
a Verolavecchia sono numerose ed interessanti. Nella settecentesca chiesa
parrocchiale, dedicata ai SS. Apostoli Pietro e Paolo, sono radunate le opere
maggiori, quasi a voler fisicamente dimostrare e testimoniare, si fa per dire,
quanto il culto per questa reliquia e per ciò che sottintende e significa, sia
profondamente radicato e sentito senza soluzione di tempo e di generazioni.
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- Nel
presbiterio, contornata da una magnifica soasa, la pala dell'altar maggiore del
1783, opera di Sante Cattaneo (1739-1819), illustra con toni drammatici il
martirio e la crocefissione dell'apostolo Pietro a testa in giù; sopra questa,
nell'ampio catino absidale, un grandioso affresco, opera di Luigi Tagliaferri di
Lecco (1897), con una scenografia dai toni luminosi ed esotici, narra di "Sant'Elena
che scopre la vera Croce" di Nostro Signor Gesù Cristo.
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Al lato sinistro dell'arco santo, o, a seconda delle ricorrenze, in posizione
sovrastante l'altare maggiore, si trova un magnifico crocefisso ligneo
cinquecentesco, da poco restaurato, opera proveniente dalla vecchia chiesa
parrocchiale, demolita per cedere il posto all'attuale.
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Altri pregevoli arredi di questa primitiva chiesa sono stati trasferiti in
quella nuova, come le statue della Speranza con l'ancora e della Fede con il
calice e la croce, poste ai lati dell'altare del Santissimo Sacramento con la
splendida tela de "L'Ultima Cena" di Francesco Savanni (Brescia 1723-1772).
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Di fronte a
quest'ultimo, sulla parte destra della navata rispetto all'altar maggiore,
trovasi l'altare dedicato alla Santa Croce, nel tabernacolo del quale vengono
conservate le reliquie. La pala dell'altare è opera di Sante Cattaneo e
rappresenta il Cristo morente in croce sul monte Golgota contornato da simboli
biblici ed escatologici. A questo altare è legata la Scuola della Santa Croce
della quale si hanno notizie certe ancora nel XV secolo; sembra che la presenza
delle reliquie risalga nel paese di Verolavecchia al periodo delle Crociate in
Terrasanta alle quali, con tutta probabilità, hanno partecipato cittadini
verolesi.
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E' logico trovare
in una chiesa la presenza del simbolo della croce, ma nella parrocchiale di
Verolavecchia questo simbolo è continuamente ribadito, insistentemente presente
e lo si deve attendere ogni dove :
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Nella pala
dell'altare dedicato a S. Angela Merici, opera del Cattaneo, la Santa prega
assorta e solitaria davanti al crocefisso appeso ad un ramo di un albero.
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Nelle formelle all'altare della "Madonna del Santo Rosario" Sante Cattaneo narra
in 15 episodi la vita della S. Vergine e di Gesù; l'episodio della crocefissione
spicca su tutti gli altri.
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Nella pala dell'altare dei Morti o delle "Anime Purganti" sempre il Cattaneo
dipinge il Cristo reggente la sua croce mentre libera le anime del purgatorio.
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Nella pala dell'altare dedicata a S. Carlo Borromeo lo stesso pittore riprende
il grande santo lombardo con al fianco una doppia croce di Santo Spirito
nell'atto di offrire l'Eucarestia a S. Luigi Gonzaga, inginocchiato e riverente.
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Entrando nel tempio nella prima cappella a sinistra si trova il Trofeo della
Santa Croce, uno splendido apparato ligneo dorato che viene portato in
processione nella festività omonima. Questa croce maestosa è stata realizzata
nel 1954 dalla Bottega Pòisa di Brescia su disegno del pittore Vittorio
Trainini.
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Nell'affresco del soffitto a botte presso l'arco santo il Tagliaferri ha dipinto
un gruppo di angioletti che reggono in modo trionfale la croce e sotto di loro
spicca la scrittura latina:
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UBI NOBILE LIGNUM
EXALTATUR CHRISTI FIDES RUTILAT,
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ANT.A IN DIE
EXAL.IS S. S. C.
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In posizione analoga, ma sopra la bussola del portale d'ingresso, un altro
affresco dello stesso pittore mostra angioletti reggenti una triplice croce, con
la tiara papale ed un libro aperto, recante un'altra scritta latina:
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EVANGELIUM D. N.
J. C.
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ET VENIENT AD TÈ
CURVI FILII EORUM QUI HUMILIAVERUNT TÈ.
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ISAIA CAP. LX 14.
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Anche sulle lunette affrescate sulle pareti ritornano i simboli della croce e
dell'autorità papale e vescovile con la tiara, la mitra il cappello vescovile,
le chiavi ed il bastone pastorale.
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Nella sacrestia nuova della parrocchiale una grande tela, poco conosciuta, di
Francesco Giugno (Brescia 1577-1621) " La deposizione ", proveniente dall'antica
parrocchiale, ci ricorda la presenza della croce;
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così pure un affresco cinquecentesco nella chiesetta ausiliaria di S. Rocco,
opera di ignoto, ritrae una deposizione-pietà, con il Cristo morto in grembo
alla Madre, raffigurato fra due santi con le stimmate, mentre alle spalle la
croce mostra appesi gli arnesi della passione e della crocefissione.
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Altre
testimonianze si potrebbero portare per far capire di quale importanza e di
quale devozione a Santa Croce abbia sempre goduto, ma si ha motivo di credere
che quelle appena riportate già ampiamente abbiano soddisfatto a tale scopo.
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Testimonianze di
persone anziane, intervistate di proposito dal sottoscritto, confermano come,
all'inizio di questo secolo e fino allo scoppio della seconda guerra mondiale,
la festa di Santa Croce con le solenni funzioni liturgiche ed il rito della
processione fosse un avvenimento di grande rilievo sul piano religioso, secondo
solo alle festività del Natale e della Pasqua, e avesse, come conseguenza,
particolari risvolti sul piano familiare e sociale.
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Vecchie Usanze
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Era usanza
preparare il tragitto della processione in un modo piuttosto originale; per la
vigilia della ricorrenza tutto doveva essere pronto per la passeggiata sotto le
tele. Le vie interessate venivano addobbate ed ornate a festa; alle finestre
comparivano i paramenti più belli con oggetti sacri come croci, quadri,
candelabri ed immagini di santi, mentre sui portoni con zolle erbose si
formavano grandi croci in mezzo alle quali ardevano lumini e candele; davanti ad
ogni casa venivano posti vasi fioriti di ogni tipo ed appese alle finestre ed ai
muri luminarie colorate. Lungo Ì marciapiedi ciottolosi, a distanze regolari, si
trovavano manufatti quadrati di cemento o di pietra infìssi nel manto ghiaioso
della strada, penetranti nel terreno per più di mezzo metro, recanti nel centro
un buco circolare di forma cilindrica, che veniva pulito per accogliere i pali,
che dovevano reggere da una parte all'altra della strada le "sandalìne" e
dare sostegno alle tele. I pali venivano preparati per essere infissi il 25
aprile, giorno di S. Marco, dai numerosi volontari, quasi tutti contadini, dopo
il lavoro.
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Le tele, formate
da lenzuola, venivano stese da una casa all'altra e coprivano come una galleria
tutto l'itinerario della processione. Nelle settimane precedenti le donne delle
vie interessate, aiutate anche da altre appartenenti a scuole o congregazioni
religiose, raccoglievano le lenzuola, essendo molto numerose quelle occorrenti
per coprire tutto l'itinerario percorso dalla processione, chiedendole in
prestito alle famiglie dell'intero paese; quindi, radunate a gruppi nelle varie
contrade, preparavano le lenzuola cucendole e predisponendole all'esposizione in
strada. Il giorno prima della festa gli uomini si recavano nei campi per
scegliere e tagliare frasche ed alberelli di ogni tipo, ricchi delle giovani
foglie primaverili, per piantarli ai lati dei pali con tralci di glicine in
fiore e rami di sambuco fioriti dai bianchi corimbi composti, intorno ai portoni
e per ornare le soglie e le finestre delle case, creando, insieme agli altri
arredi e paramenti prima ricordati, una suggestiva cornice.
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Il giorno e
soprattutto la sera della vigilia, le vie, così addobbate, venivano più volte
percorse da frotte di ragazzi festanti ed allegri, dalla gente del paese e da
persone forestiere attirate dalla notorietà e dalla fama che tale festività
religiosa aveva da tempo creato, calamitando, per un vasto raggio, l'interesse e
la curiosità delle popolazioni non solo dei paesi limitrofi. La grande festa era
già cominciata in anticipo.
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Il 3 maggio,
giorno della festività della Santa Croce, vi era un gran fermento in ogni casa:
si sfoggiavano gli abiti più belli, quelli della festa; il mattino gli uomini
partecipavano alla Messa alta, mentre le donne, che già avevano assistito alla
Messa prima, preparavano un pranzo diverso dal solito, con cibi che si
cucinavano solo nelle grandi occasioni, e a quei tempi era un fatto speciale, un
po' difficile da comprendere per le nuove generazioni abituate all'abbondanza ed
al facile consumismo. Sulla tavola imbandita comparivano le tagliatelle o gli
gnocchi fatti in casa o i casoncelli preparati dalle mani esperte delle massaie,
il vino, che solitamente si beveva solo la domenica, la gallina lessata con il
ripieno, il pollo arrosto o altre portate prelibate
e non consuete, come la carne di anatra o di oca; spesso si gustava il salame
"l'òs del stòmech", o insaccato nel "budello gentile", o la
"soppressa", e non mancava mai il dolce casereccio.
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Questi erano strappi che accadevano
poche volte in un anno e solo in concomitanza di avvenimenti importanti; in
genere le tavole dei nostri antenati non conoscevano l'abbondanza di oggi, ma
piuttosto la consuetudine di mense semplici e parche, dove la polenta, cibo dei
poveri, la faceva da usuale padrona.
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Al pranzo erano
invitati i parenti che abitavano in altri paesi o lontano, e questa particolare
festività era l'occasione per riunire il parentado, gli amici ed i conoscenti
che da tempo non si vedevano, in un'atmosfera di gioviale e conviviale compagnia
e di cordiale letizia.
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Il pomeriggio
trascorreva nelle chiacchiere e nello scambio di notizie ed opinioni in attesa
di uscire per compiere eventualmente una passeggiata sotto le tele prima della
celebrazione liturgica delle sacre funzioni e del rito della processione.
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Partendo dal
sagrato delle chiesa la piazza e le vie erano colme di bancarelle affollate di
gente intente ad ammirare, e, a volte, a comprare oggetti vari, palloncini
colorati, giocattoli e dolci di ogni tipo, fra i quali, i più appetiti, erano lo
zucchero filato ed il tiramolla, che venivano lavorati davanti agli occhi
curiosi e meravigliati dei bambini.
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Nel tardo
pomeriggio finalmente iniziavano le sacre funzioni con una Santa Messa solenne
cantata, con la presenza di numerosi sacerdoti, alcuni originari del luogo,
altri ospiti provenienti dai paesi vicini, contornati da uno stuolo di
chierichetti; sovente presenziava il Prevosto di Verolanuova. Fra tutti questi
prelati faceva spicco il "Predicatore forestiero", un sacerdote invitato
appositamente, dalla faconda oratoria, per rendere più incisiva la parola del
Signore, e che veniva ascoltato con particolare attenzione; la sua omelia
sarebbe stata più tardi oggetto di discussione, di ammirazione e di citazioni
autorevoli.
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Alla fine della
Santa Messa si snodava la solenne Processione che zelanti accompagnatori, i
"Crociari" dirigevano e guidavano con grande solerzia ed attenzione; essi
tenevano in mano un lungo bastone sormontato da una piccola croce che usavano
per comandare il corteo religioso.
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Solitamente la
processione veniva aperta da un fedele che reggeva un lungo stendardo rosso con
code lunghissime che venivano sorrette da bambini o chierichetti ; seguivano poi
le donne disposte su due file ai lati della strada, divise in ordine di età
(bambine, ragazze, giovani, spose, ecc.) e a seconda della congregazione di
appartenenza (Beniamine, Aspiranti, Donne di Azione Cattolica, le Figlie di
Maria, le Figlie di S. Angela, ... ) e tutte portavano sul capo un velo bianco;
venivano quindi i bambini, i ragazzi, molti dei quali vestivano la divisa dei
"Fanciulli cattolici", seguivano gli aspiranti ed i giovani; ogni gruppo portava
il proprio stendardo o la propria bandiera; giovani canterine recitavano le
orazioni della S. Croce e cantavano inni dedicati alla Madonna alternandosi alle
suonate della banda musicale, di solito quella di Verolanuova, che intonava
musiche sacre adatte alla circostanza, e che precedeva la reliquia della Santa
Croce.
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Il sacerdote che
portava la reliquia in un prezioso ostensorio, vestito da sontuosi e solenni
paramenti di colore rosso e ricamati in oro, era contornato da altri sacerdoti
sotto un baldacchino bianco e dorato, retto da persone che vestivano tuniche
bianche con una mezzetta rossa, una specie di corta mantellina; il baldacchino
tutto intorno era circondato da paggetti in costumi sfarzosi, con berretti
adornati da piume lunghe ed ampie, simili ai paggi dipinti sulle tele barocche.
Veniva subito dopo un gruppo di uomini, circa una ventina,
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appartenenti ad
una congregazione religiosa: la "Confraternita del Santissimo Sacramento";
questa confraternita era stata istituita da San Carlo Borromeo dopo il Concilio
di Trento verso la fine del XVI secolo; a Verolavecchia la confraternita era
stata fondata dal sacerdote don Giuseppe Pea. I "Sacramentini", come erano
chiamati, vestivano tuniche bianche con un'ampia mantellina rossa sulle spalle e
sui loro petti faceva bella vista un grosso medaglione sostenuto intorno al collo
da un cordone; all'interno del medaglione spiccava in rilievo l'ostensorio del
SS. Sacramento; erano guidati da un responsabile che portava come segno di
riconoscimento un fiocco bianco sul dorso. Essi partecipavano a tutte le
processioni reggendo una grossa candela accesa di cera purissima con il marchio
di fabbrica in evidenza, ai funerali, invece, portavano una mezzetta viola.
Volgarmente venivano chiamati con i termini di "Robåsòche" o
"Tonegòcc".
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Seguivano, infine,
numerosi uomini, disposti in doppia fila, in assorto raccoglimento. La
processione si snodava lenta e solenne fra le preghiere ed i canti dei
partecipanti. Alle finestre ed ai portoni delle case, lungo le vie ed ai
crocicchi numerosi erano gli spettatori, in gran parte forestieri, accorsi per
godersi la festa e la sagra, riverenti ed in silenzio, e si inginocchiavano
devotamente al passaggio della reliquia.
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A volte accadeva,
poiché la processione era così lunga per il gran numero dei partecipanti, che
coloro che erano partiti per primi giungevano, terminando il percorso, alla
piazza della chiesa, mentre gli ultimi la stavano lasciando, avendo ancora tutto
il tragitto da compiere.
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Nel mezzo alle due
ali della processione fanciulle vestite da angioletti procedevano a coppie
reggendo ceste ricolme di petali di fiori, di rosa e di glicine, che spargevano
con ampi gesti delle braccia lungo il percorso; erano seguite da ragazzi e
ragazze vestiti da pastorelli e pastorelle che portavano degli agnelli vivi; a
intervalli, dei giovani, vestiti in costume, rappresentavano santi e sante . S.
Luigi, S. Filippo Neri, S. Francesco , S. Chiara, S. Rita, S. Tarcisio, S.
Lucia, S. Agnese, S. Rocco che mostrava le piaghe sulle gambe, S. Cecilia con
l’arpa, S. Maria Maddalena e S. Teresa del Bambin Gesù erano i santi e le sante
che più frequentemente venivano interpretati.
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Graditi erano i
gruppi che illustravano scene bibliche ed evangeliche o fatti miracolosi. Veniva
rappresentato Gesù che portava la sua croce lungo la via del Calvario,
circondato dai Giudei e dai soldati romani; in punti stabiliti del percorso
l'interprete cadeva sotto il peso del legno e, mentre veniva aiutato a
rialzarsi, con zelo i soldati gli puntavano le loro lance ed Ì Giudei lo
deridevano; allora interveniva il pietoso Cireneo che si caricava del pesante
fardello della croce.
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Molto apprezzati
erano i gruppi che rappresentavano la Madonna con Bemadette di Lourdes, S.
Angela Merici circondata da bambine che proteggeva con il suo manto, le tre
Virtù teologali: la Fede con la croce, la Speranza con l'ancora e la Carità con
il calice e l'ostia.
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Dopo aver percorso
via XX Settembre, via Piave, via degli Eroi, via Liberazione fino alla Piazza
della Chiesa, la processione rientrava nella parrocchiale dove la celebrazione
continuava per terminare con una solenne benedizione.
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Poi la gente si
spandeva per le vie del paese soffermandosi qua e là per salutare amici, parenti
e conoscenti, sostando presso le bancarelle per accontentare, una volta tanto, i
desideri dei bambini, o si recava presso le giostre quasi sempre presenti in
occasione di feste e sagre.
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Nei giorni che
seguivano il sapore della festa durava con soddisfazione nel ricordo a
testimonianza di un particolare momento ricco di significati religiosi,
familiari e sociali, vissuto con entusiasmo e profonda partecipazione.
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E Oggi...
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Alle soglie del
terzo millennio quanto è rimasto di questa festività nella coscienza e nel cuore
della popolazione di Verolavecchia e quanto è cambiato?
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La manifestazione religiosa quanto
incide ancora nei segni esteriori e tangibili e nei comportamenti?
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I cambiamenti
iniziarono subito nel dopoguerra. La grave situazione economica e sociale fece
sì che l'attrattiva più singolare sotto l'aspetto esteriore fosse la prima a
cadere: le lenzuola erano troppo poche e costose, in quel momento di crisi così
pesante, perché si potesse ancora stenderle per le vie coprendole come una
galleria per la passeggiata e lo snodarsi della processione sotto le tele. Piano
piano si perse l'abitudine e l'usanza scomparve.
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Restarono, però,
molte delle altre manifestazioni esteriori; anzi, a significare come la
festività fosse sempre profondamente sentita, nell'anno 1953, il parroco don
Virgilio Casnici provvide per il necessario restauro dei quadri della Via Crucis
e l'anno seguente incaricò la ditta Pòisa di Broscia di realizzare, su un
disegno del pittore Vittorio Trainini del 1935, un imponente apparato ligneo
chiamato "Trofeo della Santa Croce" appositamente ideato per portare in
processione la reliquia del Sacro Legno.
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Il Trofeo venne
benedetto il giorno prima della festa di Santa Croce di quell'anno 1954, insieme
ai nuovi sei candelabri in bronzo dell’altar maggiore, da S. E. Mons. Giacinto
Tredici, vescovo di Brescia, ed inaugurato con la solenne processione del giorno
dopo insieme ai festeggiamenti del 25° di sacerdozio del parroco don Virgilio
Casnici.
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L'apparato, di
buona fattura ed eleganza, è custodito nella prima cappella sul lato sud della
chiesa, a sinistra rispetto all'entrata e consiste in una grande croce dorata in
oro zecchino che, solo nella ricorrenza della festività, accoglie all'interno
dell'incrocio dei bracci il reliquiario della Santa Croce; sul davanti le
estremità dei bracci recano ben lavorati i simboli dei quattro evangelisti,
mentre sul retro negli stessi posti spiccano le quattro parole : AVE CRUX SPES
UNICA ed in basso è riprodotto lo stemma del comune di Verolavecchia con il
motto VETUS VIRESCIT; il basamento è arricchito da angioletti dorati che
mostrano i simboli ed i vari arnesi ed utensili usati nella passione e
crocefìssione di Nostro Signor Gesù Cristo. Da allora ogni anno viene
puntualmente portato solennemente in processione per le vie del paese.
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Con il passare
degli anni e con l'avvento dell'industrializzazione della Bassa Bresciana, in
modo particolare della vicina Verolanuova, che richiamò manodopera dalla
campagna spopolandola, fra gli anni Cinquanta e Sessanta caddero altre
consuetudini riguardanti la processione: non si tagliarono più alberelli e
frasche da piantare lungo le vie e per adornare porte e finestre e, con la prima
asfaltatura, scomparvero i manufatti che avevano il compito di reggere i pali di
sostegno delle "sandalìne" e delle tele. Anche le luminarie avevano fatto
il loro tempo.
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Oggi giorno la
processione, che non è più al 3 maggio, ma viene spostata alla domenica più
vicina a tale data, dopo la Santa Messa, aperta da tre chierichetti che reggono
una croce astile, percorre ancora le stesse vie del centro portando fra le case
del paese il reliquiario della Santa Croce racchiuso
nello splendido apparato di legno dorato accompagnata dal Corpo bandistico di
Verolavecchia; mancano, però, tutte quelle figurazioni e rappresentazioni prima
descritte.
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Lungo i
marciapiedi i vasi di piante verdi e di fiori ed alle finestre i paramenti fanno
ancora bella mostra; sono assenti tutti gli altri addobbi in precedenza
descritti; anche le bancarelle di giocattoli e di dolci sono ridotte a poche
unità, ma la presenza della gente che partecipa alla processione o che assiste
dalle porte e dalle finestre delle case, sotto i portoni e dagli incroci delle
strade, è ancora decisamente numerosa; ancora vi sono le giostre ad allietare
piccoli e grandi, ma questo è solo sagra.
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Quel che più
conta, però, è la permanenza negli animi delle persone della fede nel
significato profondo della festività, che ancora attira gente non solo per
devozione o per ossequio alla tradizione, ma facendola partecipe di una
solennità che ha conservato tutto il suo fascino e tutto il suo profondo
significato religioso che è poi quello del sacrificio di Gesù Cristo per amore
nostro e della nostra salvezza.
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Tratto da:
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Lorenzo
Tartini -
La festa di Santa Croce a Verolavecchia
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COMUNITÀ, periodico
parrocchiale, anno XXIII, N. 2, marzo 1997.
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