Giacomo
Baroffio
Il canto
gregoriano
Il canto
gregoriano, lo dice il nome stesso, è un linguaggio musicale che si è affermato
nella liturgia romana dopo un lungo processo di formazione. Non si sa nulla di
preciso sulle sue origini, sul quando e sul dove: la sua gestazione è stata
sofferta e la sua nascita è avvolta ancora da ombre di varia natura. La
questione storica, tuttavia, potrà essere affrontata con serenità soltanto dopo
aver precisato i termini in gioco. Perché, quello che si chiama “canto
gregoriano”, pur avendo una forte componente musicale, a rigore non è affatto
musica. La sua essenza, il suo nucleo centrale più profondo e intimo appartiene
all’universo della preghiera. Preghiera che è nata e si è sviluppata da un
atteggiamento sbigottito d’adorazione di fronte alla Parola di Dio.
Accolta dal
mondo ebraico la Parola, alcune categorie liturgiche (tra cui il memoriale e la
benedizione) e alcune modalità rituali, la primitiva comunità cristiana si è
messa in ascolto e riascolto della Parola del Maestro, ruminandola secondo le
familiari cadenze della cantillazione biblica. Portata dal canto semplice ed
essenziale del tonus di lettura, la Parola prima di tutto si libera dal
condizionamento di chi, proclamandola con il solo parlato, le imprime delle
sottolineature soggettive che ne possono compromettere l’intelligenza. Nel
pronunciare un discorso o nel leggere un racconto, la flessione della voce e le
variazioni pur minime del timbro diventano la più convincente esegesi del testo,
senza che di questo fatto abbiano sempre coscienza l’uditore e lo stesso
lettore.
L’universo
giudaico medio-orientale e quello della diaspora romana, la cultura ellenistica
e la vita sociale dell’Urbe, le suggestioni della Chiesa africana e dei centri
isolani e continentali europei plasmano la lingua della liturgia romana. Al di
là del latino, rivisitato e arricchito dagli scrittori ecclesiastici, emerge il
linguaggio del canto liturgico. L’esperienza fondante della fede riesce ad
amalgamare i dialetti delle diverse e lontane etnie sino a trovare le modalità
espressive più adeguate a cantare il mistero di Cristo.
Sul piano
delle categorie artistiche prende vita un massiccio fenomeno di metamorfosi per
contatto. Non si fa a gara per prevalere gli uni sugli altri. Tutti sono tesi a
dare voce, nel miglior modo possibile, alle proprie esperienze interiori. La
forza della sobria ebbrezza dello Spirito travolge le inevitabili resistenze,
incoraggia i titubanti. La Chiesa raggiunge una nuova tappa del cammino glorioso
della Parola e trova un nuovo linguaggio, il più adeguato a cantare, appunto, la
Parola. Una Parola che è di tutti e nel cui canto tutti si riconoscono, in
un’unica fede policroma e polifonica. In uno spessore timbrico sottolineato
dall’esecuzione che non è riservata ad un’unica linea melodica, ma dal
convergere insieme di almeno due voci eseguite da due categorie di cantori.
Le
caratteristiche peculiari del canto gregoriano si possono individuare con
maggior facilità nel momento in cui questo linguaggio è messo a confronto con
altri repertori più antichi o paralleli. Ciò che sorprende, in primo luogo, è
l’adeguarsi costante della linea musicale all’azione rituale. In ogni azione (ad
esempio, la Messa), ogni singolo momento si rispecchia in un canto che ha
precise e inconfondibili caratteristiche.
Pregando con
il canto nella liturgia, si percepisce ciò che il canto gregoriano è nelle sue
radici: parola di D-i-o e preghiera dell’uomo, in un fluire gratuito di suoni,
nell’abbandono senza resistenze alla Parola che risuona nel cuore, fa aumentare
le pulsazioni, rimbomba per fare spazio al silenzio.
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